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Il “feedback”: è inglese, si usa nel mondo del lavoro. Ma è davvero così?

Il feedback è presente in ogni ambito della nostra vita, non solo nella sfera professionale. Come esseri umani cerchiamo un riscontro dal mondo esterno, ne sentiamo il bisogno, ma poi come lo accogliamo? A volte lo amiamo, perché ci fa stare bene, altre volte ci mette in discussione… e cominciano i guai.

Il feedback è il riscontro più o meno benevolo che riceviamo dal mondo esterno a una nostra azione, dicevamo. Da dove proviene quello più severo? Sì, è proprio quello che pensi, la fonte più severa è la vocina dentro di noi, che di riscontri ce ne dà in continuazione. E come ci fa stare?

Noi nasciamo felici. Conosci un bambino di 2-3 anni con problemi di autostima? Il bambino piccolo non deve fare niente per essere amato, riceve amore incondizionato. Poi, inizia l’educazione sociale. Il bambino comincia a sentirsi dire “no”: ci sono cose che non può più fare, ci sono cose che è bene che faccia. E nella nostra vita si affaccia il giudizio. “Saluta la signora!”, mi diceva mia madre, e io, ubbidiente, salutavo. “Ma che bella bambina educata!” diceva la signora, e mia madre poi mi diceva “Brava, è così che ci si comporta!”. E così ho imparato che se volevo sentirmi “brava” bastava che salutassi le persone, soprattutto quelle con cui si intrattenevano i miei genitori, indipendentemente dal fatto che le conoscessi e che volessi spontaneamente salutarle.

Ben presto ho imparato che una brava bambina saluta educatamente anche le persone che non conosce (ma non deve accettare caramelle), non lascia avanzi nel piatto perché ci sono bambini che muoiono di fame (come se fosse colpa mia), fa tutti i compiti per bene così viene promossa, e così via. E in età adulta mi sono ritrovata a pensare che una brava moglie fa questo, una brava madre fa quello, una brava libera professionista fa ancora quest’altro… quanti condizionamenti!

È accaduto a tutti noi, scommetto che ne sai qualcosa anche tu. A un certo punto entra nella nostra vita la dicotomia bene-male, giusto-sbagliato e, diciamocelo, chi è che vuole stare dalla parte del male, che è ovviamente sbagliato? E tutti abbiamo fatto e facciamo continuamente cose per ottenere l’approvazione degli altri o di noi stessi.

A cosa serve l’approvazione? A sentire che valiamo, che siamo giusti, naturalmente. Nel profondo abbiamo bisogno di sentirci amati, come quando eravamo piccoli piccoli ed eravamo amati per quello che eravamo, non per quello che di giusto facevamo.

E questo meccanismo vive profondamente radicato in noi.

Come donna acquisto un bell’abito per apparire affascinante e valorizzare la mia figura. Come madre preparo la pizza ai miei figli per sentirmi dire che è più buona di quella della pizzeria d’asporto della zona. Come coach mi prendo a cuore i miei clienti così loro crescono e vedere che si trasformano mi fa sentire realizzata.

Che cosa è successo? Ho cambiato il presupposto.

Il punto di partenza non è più che non vado bene se non faccio… e invece vado bene se faccio… Il punto di partenza è che io vado bene così come sono, con le mie risorse e le mie vulnerabilità. E scelgo liberamente di muovermi verso ciò che mi fa stare bene.

Quanto sei consapevole del fatto che vai bene così come sei, con il tuo mix unico di punti di forza e di debolezza?

Fino a che punto sei tu a scegliere atteggiamenti, situazioni, persone, cose che ti fanno stare bene?

Ecco il mio invito alla sperimentazione:

  • Osserva quante volte durante la tua giornata ricevi un apprezzamento o una critica dagli altri.
  • Osserva quante volte durante la tua giornata la tua vocina interna ti esprime apprezzamento o critica.
  • Nota come reagisci tu: è vero che in superficie l’apprezzamento ti fa stare bene e la critica ti scoccia, ma poi come ti comporti, cosa dici, come ti senti?

Qualcuno sminuisce l’apprezzamento, della serie che a un complimento come “che carino, questo vestito!” risponde “l’ho comprato al mercato, l’ho pagato una sciocchezza!”… qualcun altro rimugina sulla critica finché non ha distrutto chi gliel’ha mossa o ha trovato tutte le giustificazioni possibili…

  • Su un diario, tutti i giorni, per almeno un paio di settimane, annota come reagisci, cosa pensi, come ti senti ogni giorno, e nota come cambia nel tempo la tua modalità
  • E se provassi a reagire semplicemente con un “Grazie!”?

Lasciati guidare dal bambino di 2 anni che c’è in te, che è guidato dalla sua saggezza interiore. E scrivimi, sono curiosa di sapere come cambia il tuo modo di fare quello che fai.

Nelle prossime puntate sul feedback parleremo di come si utilizza questo preziosissimo strumento sul lavoro, per aumentare il livello di soddisfazione nell’ambiente professionale.

Per ora… buon lavoro!

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